Corriere delle Alpi -

Ivan Basso La mia bici e il suo futuro rosa

«Arrigo, posso venire da lei per chiederle alcuni consigli? Vorrei fare il dirigente di una squadra di ciclismo».
Ivan Basso, 46 anni, due Giri d’Italia in bacheca, altrettanti podi al Tour de France, non ha avuto dubbi su chi chiamare prima di partire per la sua nuova avventura.
«Ho chiamato Sacchi – spiega – semplicemente perché è stato un innovatore nel mondo del calcio. Sono di Cassano Magnago, Milanello è a pochi chilometri, il lavoro fatto dal mister al Milan mi ha sempre colpito. Io ero un bambino, ma quelle parole sacre, gruppo, collettivo che lui usava mi sono subito entrate dentro».
Basso, ora direttore generale della Polti Kometa, squadra Professional di ciclismo, una delle poche in Italia, fondata col suo amico Alberto Contador, venerdì 13 al teatro Buzzati di Belluno sarà uno dei protagonisti di Sport Business Forum. Da anni è un testimonial Clivet, azienda di Feltre leader nelle soluzioni specializzate per il comfort e che lega il suo nome all’ambasciatore per eccellenza della bici: il Giro d’Italia.«Vengo sempre volentieri nel Bellunese – continua Basso, l’eroe sullo Zoncolan al Giro 2010 – anche perchè a Zoldo indossai per la prima volta la maglia rosa, era il Giro 2005».
Cosa le disse Sacchi?
«Mi mostrò tutti i suoi quaderni appuntati, ricordo che li fotografai, mi riempì di preziosi consigli io rimasi inebetito ad ascoltarlo per ore. Il concetto di collettivo, pur se il ciclismo è uno sport individuale, anche per me è fondamentale».
Come sta cambiando il Basso dirigente?
«C’è una evoluzione continua, la mia formazione è un continuo confronto con le altre discipline, non necessariamente legate al mondo dello sport».
La sua Polti Kometa ricorda molto la Liquigas, lo squadrone veneto che, anche grazie alle sue vittorie, dominò per un decennio. Concorda?
«È esattamente la Liquigas 2.0, ma manca ancora tanto per imitarla. In quegli anni la Liquigas di due grandi manager come Zanni e Dal Lago aveva già una gestione manageriale, il dipartimento marketing, un settore giovanile dal quale sono usciti 15-20 professionisti di livello».
E adesso in Italia non ci sono squadre World Tour…
«Io non penso a quello che manca, ma a come far crescere il nostro team per arrivare a quel livello. All’estero sono stati fatti passi in avanti importanti, il budget medio di una squadra Professional, senza scomodare le milionarie World Tour, è di quasi 8 milioni, un terzo in più di quello dei nostri».
Come fare?
«Mostrando agli investitori quanto bello è il ciclismo. Il nostro è uno sport che dà ritorni enormi a chi investe, la nostra Polti, ad esempio, tornata nel mondo del ciclismo dopo vent’anni, è stata il terzo marchio più visto al Giro 2024, anche se non abbiamo vinto una tappa, ma, ad esempio col cadorino Andrea Pietrobon, siamo andati all’attacco ogni giorno».
E poi la bike economy sembra volare in questi anni, la filiera della bici a Nord Est è una delle realtà economiche più rilevanti…
«Vero, ma servono un cambio di cultura, infrastrutture. E poi dobbiamo migliorare la nostra capacità di raccontare il nostro mondo e renderlo ancor più appetibile alle aziende».
Le ultime bufere doping di 15 anni fa non hanno aiutato certo…
«Vero, ma la gente, i tifosi non hanno mai abbandonato il nostro sport, che è stato capace di risollevarsi rendendosi credibile più e meglio di altre discipline».
Mancano talenti come lei o Nibali, ma lei che ha 4 figli li manderebbe a cuor leggero ad allenarsi sulle nostre strade?
«Torniamo alla rivoluzione culturale. Serve il rispetto reciproco, tra automobilista e ciclista. E poi come ci sono campetti e palestre ci devono essere i ciclodromi affinché i bambini possano pedalare in sicurezza».
Prima di lei Pantani, dopo di lei Nibali…
«Due grandi, ma la bellezza del ciclismo è che poi sulla strada i nostri Bais e Pietrobon sono applauditi anche se vengono ripresi dal gruppo».
E di questa generazione di fenomeni cosa dice?
«Pogacar, Vingegaard, Evenepoel, Van der Poel e Van Aert sono super, ma noi, che abbiamo comunque due forti come Ganna e Milan, dobbiamo guardare ai fenomeni che arriveranno, che ci sono e magari andranno solo aspettati».
Della doppietta Giro-Tour di Pogacar cosa dice?
«Era un predestinato a realizzarla».
Della sua Polti Kometa chi ci consiglia?
«Davide Piganzoli, 22 anni, è forte».
Lei va ancora in bici? Le mancano le gare?
«Certo che pedalo, quando posso con i miei figli: è il mio mondo. Ma con tutto quello che ho da fare se a quasi 47 anni mi mancassero le gare sarebbe un problema». —
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