Sport Business Forum è stato quel che prometteva: una propizia occasione in cui si è parlato di cultura dello sport. Per anni relegato negli angoli più nascosti e declassato a tema tra i più negletti, lo sport oggi ha molto da raccontare di sé e moltissimo da insegnare ad altri. Siano esse donne, uomini, gruppi di lavoro.
Così, per cinque giorni e attraverso 57 eventi in quattro località del territorio nordestino, abbiamo incrociato la profondità introspettiva del vissuto con la progettualità prossima ventura delle grandi opere. Certo, non tutto passa attraverso imprese agonistiche e tecniche, perché quello è solo il traguardo finale. Più importante e più formativo è apprendere che lo sport – sia che si parli della costruzione di eventi, sia che si parli di carriera – è e resta una complessa costruzione, spesso demandata a molti investimenti e ad altrettante privazioni.
L’Homo ludens non è solo corpo, per il quale ci vuole una cura attentissima e dosatissima, ma soprattutto testa. Gelindo Bordin, il maratoneta dell’oro olimpico a Seul, che ha saputo diversificare il suo impegno entrando in una grande azienda come la Diadora, ci ha spiegato che con il suo cervello rivaleggiava. Prima, in certo modo, prendendolo in giro e, dunque, non rinunciando ai piaceri della vita. Poi, infliggendosi mortificazioni calviniste, con qualche chilometro di allenamento in più. Esempio: «Non mi negavo uno spritz di troppo, ma il giorno dopo, sapendo di avere sgarrato, mi imponevo 35 chilometri di allenamento anziché 30». Non troppo dissimile, anche se capace di una resistenza psicologica fachiristica, la testimonianza di Vanessa Ferrari: «I sacrifici pesano, ma sono una scelta. Il più grande? Allenarmi fin da giovane con dolori ai tendini che mi hanno accompagnato per tutta la carriera».
Resistere, resistere, resistere. Ma anche programmare. La stagione, la carriera, il futuro. Essere soli, magari con il proprio staff (il caso del tennis o del nuoto), è una cosa, lavorare di squadra è altro. In gruppo si riceve, certo, ma bisogna dare almeno quanto si riceve. In questo senso, sia gli ex calciatori e calciatrici, sia le pallavoliste e gli allenatori di volley, ribadiscono quel motto herreriano (da una delle massime che Helenio Herrera attaccava al muro dello spogliatoio) «chi non dà tutto, non dà niente».
Pensate alla pallavolo che ci ha regalato l’oro olimpico di Parigi: oltre ad una disciplina sempre più declinabile al femminile, è la più democratica e più partecipata della terra. Non si può colpire la palla più di una volta, tutti e tutte occupano svariate posizioni, non c’è contatto fisico per essendoci molta forza da imprimere alla palla.
Lavorare di squadra è ormai un refrain irrinunciabile anche nel mondo del lavoro e dell’imprenditoria. Essere gruppo significa moltiplicare le energie, fare pressing vuol dire aggredire il tempo per imprimergli un ritmo inesorabile.
Una vera cultura collettivistica – al di fuori dell’accezione ideologica – ancora non c’è, ma sempre più uomini di comando nello sport di squadra vengono chiamati nell e aziende a spiegare strategie vincenti e modelli di leadership. C’è una precisa linea di demarcazione tra i valori dello sport e il conseguimento dei risultati: vincere con merito, vincere perché si merita, è diverso dal vincere a tutti i costi. O, peggio, del vincere alterando le regole del gioco.
Lo sport deve essere scuola di lealtà (nei confronti dell’avversario, di chi ci arbitra e dei nostri stessi compagni), ma soprattutto deve convincere ad accettare la sconfitta. Come ha detto Papa Francesco, «mentre il successo rende a volte arroganti, la sconfitta invita alla riflessione e all’analisi».
Ripartire e ricominciare sono due imperativi categorici per lo sportivo. Perché chi gareggia sa che la sconfitta è di gran lunga più garantita della vittoria e, oltre agli avversari, deve essere battuta o schivata tutta una serie di inconvenienti ineluttabili, dall’infortunio alla malattia.
Per chi fa sport o impresa la sfortuna non esiste. Un tiro che sbatte sul palo è solo meno preciso di uno che va in gol. L’alibi va rigettato perchè rappresenta solo un ostacolo in più verso il raggiungimento dell’obiettivo. Mentre un valore fondante è la pazienza: spesso vale più dell’intelligenza.